venerdì 31 maggio 2013

Ospedale

Sono da poco uscito dall'ospedale dopo un'intervento ad un legamento del ginocchio, era da molto che non mi ritrovavo ricoverato per alcune notti in ospedale ed avevo dimenticato le gioie ed i dolori della vita in corsia.

Il primo impatto devastante lo si ha con gli orari ospedalieri dettati forse dai cambi turno o forse solo da un sadico insonne.
La sveglia è alle 6 quando un gruppetto di infermieri entra in camera accendendo le luci e alzando le tapparelle e, se è possibile, facendoti alzare dal letto per cambiare le lenzuola, non importa se magari non potevi alzarti, se fisicamente ti reggi sulle gambe quei cinque minuti per il cambio lenzuola non ti faranno male.

Dopo il cambio lenzuola arriva il gruppo bidet, ti aiutano a lavarti nel caso tu non riesca da solo ad arrivare al bagno, ho notato che non c'è nulla che faccia recuperare l'uso delle gambe ad un gruppo di operati al ginocchio come degli inservienti gay che vogliono lavarti la sotto.

Che poi non capisco il perché, insomma è meglio farsi lavare da qualcuno a cui piace farlo, farà sicuramente un lavoro migliore di qualcun'altro costretto controvoglia.

Dopo aver svegliato tutta la corsia prima dell'alba e aver lavato tutti arriva il momento di.... niente, per due ore, fino alla insipida colazione che mangi solo perché ti hanno tenuto a digiuno un giorno intero per l'operazione.

Una giornata intera così, il nulla più totale, intervallato solo ogni tanto da un termometro nell'orecchio (effettivamente su questo poteva andare peggio) o una mezz'ora di fisioterapia passiva.

L'unico evento che da un po' di adrenalina alla giornata sono le pisciate nel pappagallo del vicino di letto bloccato purtroppo verso di te, dato che riesce a metterne dentro circa l'80% di quella che effettivamente fa, ti trovi a pregare che la sua prostata sia abbastanza compromessa da non dare abbastanza pressione a quel 20% che esce per raggiungere il tuo letto.

Tutto questo con l'accompagnamento in sottofondo del dolore post-operatorio che diventando costante un poco si attenua da solo, l'infermiera ci ha anche consigliato di tenere la gamba fuori dalle coperte per calmare ulteriormente il dolore.

Purtroppo il mio sistema nervoso non ha potuto apprezzare i vantaggi della variazione di temperatura dai 18 gradi sotto le coperte ai 17 e mezzo esterni, dato che la dotazione estiva, cui l'ospedale è già passato, prevede solo un singolo lenzuolo per dormire...

Ma è arrivata la notte che la vera movida di corsia comincia.

Dalle otto e mezza, quando mandano via i parenti e spengono le luci, ha il via un balletto interminabile che vede le infermiere saltellare di camera in camera a svuotare pappagalli, girare pazienti nel letto e cambiare flebo oramai essiccate, il tutto ritmato dai vai campanelli di chiamata.

Mi domando come mai verso le una di notte, al centesimo pappagallo svuotato, queste non girino con siringhe di Roipnol a sedare tutti e lasciare che si piscino addosso, tanto sarà un problema poi del turno di giorno.

Come se non bastassero le continue irruzioni in camera delle infermiere, a tenerti sveglio ci pensano i tuoi compagni di stanza.

Gente che al click dell'interruttore vengono colpite contemporaneamente da catalessi e da bronchiti, raffreddori, catarro ecc.. e cominciano un concerto di ronfate e colpi di tosse degni di una segheria a pieno regime.

Io quando devo dormire a pancia in su russo, lo so, me lo hanno rinfacciato tante volte, e mi piacerebbe molto rendergli il favore di almeno una notte insonne, ho provato anche ad addormentarmi già dalle sette di sera con Studio Aperto, ma niente.

Appena chiudo gli occhi il mio cervello inizia a macinare cazzate, come il testo che sto scrivendo, e non mi lascia dormire in tempo per la battaglia di motoseghe.

Così di notte mi ritrovo ad appallottolare i tovagliolini di carta avanzati dalla cena e a tirarli verso le vie respiratorie degli altri così da poter dormire.

Per il prossimo ricovero devo affinare la mira.

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